L’esperimento di fisica più costoso e ambizioso della storia continua a far parlare di sé. Dopo la sventata minaccia della creazione di buchi neri con conseguenti scenari apocalittici, il Large Hadron Collider di Ginevra torna alla ribalta per essere stato attaccato, con successo, da un gruppo di hacker greci.
La denuncia. La notizia della violazione dei sistemi informatici del Cern arriva dalle pagine del quotidiano inglese Telegraph. Proprio mentre tutto il mondo teneva le dita incrociate per i primi passaggi di particelle nel sottosuolo svizzero, il “Greek security team” (Gst) riusciva ad accedere ai server dell’esperimento Cms (che insieme ad Atlas è a caccia del Bosone di Higgs), modificandone la home page pubblica (http://cmsmon.cern.ch) con una “personalizzata”. Nella nuova pagina il Gst ricordava agli scienziati di “non combinare pasticci”, evidenziando come la sicurezza del centro di ricerca nucleare europeo abbia numerose lacune.
I rischi. L’attacco degli hacker, oltre a portare all’immediato oscuramento della pagina, avrebbe danneggiato un file e poco altro, ma il pericolo per l’esito dell’esperimento è stato serio. Una volta riuscito ad infiltrarsi nel sistema, il Gst non era infatti troppo lontano dal poter accedere anche al computer che controlla uno dei magneti da oltre 12 mila tonnellate. Se avesse voluto sarebbe forse stato in grado di falsare una parte della prova, con conseguenti danni milionari.
Il Cern. La falla informatica non preoccupa tuttavia i responsabili del Cern. “Non ci sembra ci siano stati gravi danni e tutto è stato scoperto rapidamente – ha dichiarato il portavoce James Gillies – Abbiamo una rete composta da molti livelli di sicurezza”. I responsabili della sicurezza hanno intanto provveduto a rimuovere i file inseriti dagli hacker, prestando particolare attenzione alla presenza di “backdoor” e adesso stanno cercando di capire come questo attacco si sia potuto verificare. La teoria principale è che il Gst abbia sfruttato i dati di accesso di qualche addetto dell’acceleratore statunitense Tevatron del Fermilab.
Fonte: repubblica.it