Al posto del nome di Google oggi oggi troviamo un codice a barre, un elemento a cui facciamo poco caso, ma che è stampato su tutti prodotti che quotidianamente compriamo.
Per chi fa commercio, si tratta forse di una delle invenzioni che maggiormente hanno cambiato la sua vita.
Secondo quanto si legge sulla Wikipedia, l’idea dei codici a barre fu sviluppata da Norman Joseph Woodland e Bernard Silver, il 7 ottobre 1948, epoca in cui i due erano studenti dell’Università di Drexel.
Prima di arrivare al modello attuale, si fecero dei tentativi con l’alfabeto morse. Infine, si imposero le righe chiare e scure di altezza variabile che tutti conosciamo, decifrabili grazie a penne ottiche. I dati che riguardano un prodotto, dal prezzo alla tipologia al numero di fabbrica, sono sintetizzati in questo “tatuaggio”, e vengono acquisiti velocemente al momento della vendita del prodotto.
Oggi questo strumento rischia di essere scavalcato dall’introduzione degli RFID (Radio Frequency IDentification). Cn questa tecnologia i dati(molti di più) possono essere contenuti in un microchip di pochi millimetri, ed essere inviati via radio anche a lunghe distanze e letti tramite appositi strumenti.
L’uso degli RFID si sta rapidamente diffondendo nei settori della logistica e della produzione industriale, ma consente anche applicazioni nella vita individuale di ciascuno di noi. Consentirebbe, per esempio, di collegare a Internet degli oggetti, che manderebbero il loro segnale sulla Rete. Per usare un esempio, potremmo avere la ciotola del nostro gatto collegata al web, che ci avvisa quando rimane vuota.
E tuttavia, l’uso di questa tecnologia desta anche qualche preoccupazione per la tutela privacy, poiché consentirebbe di identificare sempre la posizione di un oggetto come di una persona e acquisire informazioni su di essa in modo immediato.
che cazzata xo la vedo se la ciotola è vuota nn c’ e’ bisogno che la collego per sapere se e vuota
PROFESSORE – e un esempio della ciotola