L’acceleratore di particelle del Cern ha ripreso a funzionare e oggi pomeriggio le prime collisioni fra i protoni sono avvenute all’interno del suo tunnel.
Neanche la denuncia alla Commissione per i diritti umani dell’Onu di un gruppo di cittadini preoccupati che le altissime energie dell’acceleratore possano causare un buco nero sulla terra è stata presa sul serio.
Così oggi per la prima volta l’acceleratore Large Hadron Collider di Ginevra ha centrato il suo obiettivo, dopo che il 19 settembre del 2008, nove giorni dopo l’accensione, si era rotto a pochi passi dalla meta.
E sugli schermi del Cern sono apparse le affascinanti fontane colorate con i frammenti degli scontri fra i protoni che schizzano in ogni direzione.
In uno di questi frammenti i fisici del Cern sperano di scoprire particelle subatomiche finora ignote, che ci spieghino di cosa è composta la materia a livello dell’infinitamente piccolo e quali caratteristiche avesse l’universo nelle prime frazioni di secondo dopo il Big Bang.
Per il momento l’energia immessa nell’acceleratore è ancora troppo bassa per consentire scoperte significative (0,9 teraelettronvolt sui 7 che la macchina può raggiungere). Ma già nelle prossime settimane Lhc verrà spinto verso limiti che finora nessun esperimento scientifico ha mai raggiunto. Il rivale del Cern, l’americano Tevatron, è in grado infatti di sfiorare appena i 2 teraelettronvolt e non è un caso che la stampa americana abbia accolto con una buona dose di acidità la notizia della ripresa dell’esperimento europeo (“Lhc è stato rattoppato, ma presto sarà costretto a fermarsi di nuovo”, scriveva due giorni fa il New York Times).
Dopo quattordici mesi spesi in riparazioni e migliorie, in realtà oggi la notizia delle prime collisioni ha riempito di entusiasmo gli scienziati del Cern, inclusi i 600 italiani (15 per cento del totale) che lavorano all’esperimento. “Proprio cinque minuti fa abbiamo visto le prime collisioni nel rivelatore di Alice”, racconta Paolo Giubellino, alla guida di uno dei quattro esperimenti di Lhc. “Non ce le aspettavamo così presto. I protoni sono estremamente piccoli e far collidere due fasci che viaggiano in direzione opposta è come mettere due cacciatori a distanza di un chilometro e chiedergli di far scontrare i loro pallini in aria a metà strada. Bisogna avere un’ottima mira”.
Entusiasta anche Guido Tonelli, che dirige l’esperimento Cms: “All’inizio i due fasci circolavano, ma senza riuscire a scontrarsi. Li abbiamo guidati con i magneti, tenendone fermo uno e spostando piano piano l’altro fino a quando le prime collisioni non sono apparse sugli schermi dei computer.
La manovra è avvenuta con grande facilità. In questi 14 mesi di stop tutti siamo migliorati, e la macchina ora è molto docile ai nostri comandi”.
Fra i frammenti di materia misteriosi che Lhc spera di catturare nel suo tunnel sotterraneo di 27 chilometri, raffreddato a meno 271 gradi (il punto più freddo del cosmo), c’è il cosiddetto bosone di Higgs, soprannominato “la particella di Dio”. Solo questa particella, teorizzata negli anni ’60 e mai osservata, può spiegare come mai la materia è dotata di massa e riesce ad aggregarsi per formare stelle, pianeti ed esseri viventi.