Sfiora il miliardo di euro la perdita annua del comparto IT italiano causata dalla pirateria del software; 80.000.000 di euro è invece la perdita del settore musicale. L’Italia è ai primi posti in Europa nella black list della pirateria, sebbene abbia una normativa in alcuni casi avanzata e dalle spiccate tendenze punitive. Questi sono alcuni dei dati emersi durante il convegno “Pirateria: software, musica e video. Condotte lecite e violazioni”, organizzato da Assintel per aprire un confronto e una riflessione integrata sul tema, coinvolgendo Guardia di Finanza, BSA e F.P.M.
La diffusione delle tecnologie e della web-society ha aperto scenari nuovi, che impattano non solo sulle opportunità di accesso all’informazione, ma anche – e negativamente – sulle opere tutelate dal copiright, determinando ingenti danni economici.
Secondo Marco Ornago, Segretario Generale di BSA Italia, nel 2006 l’Italia ha registrato un tasso di pirateria del software pari al 51%, collocandola insieme a Grecia e Cipro fra i Paesi con un indice più alto. Situazione simile è registrata nel comparto musicale, dove, secondo Luca Vespignani (Segretario Generale di F.P.M.), l’Italia è al sesto posto nella black list, con il 25% del mercato illegale. Le ripercussioni stimate a livello macro-economico sono notevoli: 1,5 miliardi di euro in meno all’erario e 4,2 miliardi di euro di mancati introiti, per un settore – quello collegato alla proprietà intellettuale – che rappresenta il 4,54% del PIL.
I risvolti sono tanto più preoccupanti se si considera che sono sempre più legati ad uno sfruttamento della pirateria da parte della criminalità organizzata, come osserva Mario Piccinni, Maggiore della Guardia di Finanza. La convenienza di questo business, con costi di produzione notevolmente bassi, è notevole: il passaggio di software piratato dal grossista al dettagliante, per esempio, ha un ritorno del 900%, quando 1 kg di cocaina ha un ritorno di nove volte inferiore. I sequestri da parte della Guardia di Finanza sono aumentati nell’ultimo anno del +28%, ma sarebbero utili alcuni strumenti normativi più affilati, come il sequestro patrimoniale per le organizzazioni che fanno pirateria.
Il problema normativo è centrale nel dibattito nostrano sulla proprietà intellettuale, in particolar modo per quanto riguarda quei comportamenti tipici dell’utente medio (file sharing e peer to peer, acquisto di software e materiale audiovisivo piratato, ecc), che sono illeciti e che prevedono sanzioni spesso non molto distanti da quelle applicate alle organizzazioni criminali. Una possibile soluzione potrebbe essere presa a modello dalla normativa francese e inglese, che sta puntando sulla responsabilizzazione del provider nel monitorare e avvisare l’utente in caso di condotte illecite, fino alla chiusura della connessione internet e all’inserimento in una black list.
“Ma il nodo centrale è anche di tipo culturale”, sottolinea Andrea Ardizzone, Direttore di Assintel. “In una società in cui il comportamento illegale è ritenuto secolarmente una furbizia dai più, una capillare opera di educazione alla legalità, unita ad una intelligente politica dei prezzi, potrà contribuire a diffondere una nuova cultura virtuosa e utile sia al mercato, sia all’interno Paese.”